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letteratura italiana

Publié le 13/07/2016

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"L'Italia borghese e liberale nella società e nella cultura europea" Limiti cronologici Tutta la seconda metà del 19esimo e la parte iniziale del 20esimo secolo, fino alla prima guerra mondiale, vedono la massima espansione della società borghese, con una diffusione su scala mondiale dei modi di produzione capitalistici, con uno sviluppo di nuove industrie e di nuove tecnologie, con il definirsi di istituzioni e di modi di governo di tipo liberale. Il borghese europeo si sente padrone del mondo, destinato a conoscere e a controllare tutti i possibili spazi e territori della terra: la produzione e il lavoro sono al centro della vita umana e appaiono destinati a costruire benessere e civiltà, a creare sempre nuove possibilità di libertà, di movimento, di espansione e sviluppo. Come per ogni circostanza storica, non è possibile fissare limiti cronologici precisi: sul più ampio orizzonte si può partire dalla crisi rivoluzionaria del 184849, dopo la quale si ha un assestamento di equilibri sociali accompagnato, nei paesi più sviluppati (e in primo luogo in Inghilterra), da una nuova intensa fase di espansione produttiva. Dopo una fase di guerre e di turbamenti istituzionali, culminante nella guerra franco-prussiana del 1870, si ha un lungo periodo di relativa pace, che segna la fine del mondo della borghesia liberale e che giunge appunto fino al 1914 e che vede lo svolgersi di una competizione sempre più aggressiva tra le economie dei diversi paesi: da un'economia liberale "pura" si passa a un capitalismo strettamente legato agli apparati statali. Se ci si colloca invece all'interno dell'esperienza italiana, è necessario prendere le mosse dalla realizzazione dell'unità d'Italia (1861), dopo la quale è possibile, soltanto nel nostro paese, un'espansione borghese e capitalistica, che cerca di mettersi al passo con i grandi paesi europei. L'arretratezza della situazione italiana e l'eredità di una storia secolare danno un carattere particolare a questo processo. Tenendo conto però delle particolari vicende politiche italiane e di un accentuarsi di nuovi fenomeni culturali intorno al 1910, preferiamo indicare questa data come limite conclusivo di questa epoca della nostra storia letteraria. Uno sviluppo senza limiti La vorticosa espansione dell'industria capitalistica si appoggia su nuove forme di produzione, il cui insieme dà luogo alla cosiddetta seconda rivoluzione industriale. Le grandi potenze industriali controllano, gran parte del pianeta: si crea un vero e proprio mercato mondiale. La realtà industriale crea modificazioni velocissime del paesaggio naturale, e porta la presenza dell'uomo anche nei luoghi più inaccessibili e incontaminati. L'atteggiamento culturale dominante trova espressione del positivismo, che guarda ai fatti; e le diverse scienze, individuano mezzi di misurazione razionale, rigorosa e uniforme, della realtà su cui intendono intervenire. Nascono tra l'altro una geografia e una cartografia moderne, e si mira a unificare la varie misure in uso nei diversi paesi. Proprio la collaborazione tra industria e ricerca scientifica consente di definire e diffondere su vasta scala nuove tecnologie, che contribuiranno a modificare radicalmente sia la produzione sia la vita quotidiana: in primo piano sono le scoperte nel campo della chimica (fondamentali tra l'altro la lavorazione della gomma e quella del petrolio) e in quello dell'elettricità, infatti comincia a diffondersi, specie nelle grandi città, l'illuminazione elettrica. I rapporti tra gli uomini mutano radicalmente, grazie anche ai nuovi mezzi di comunicazione a distanza: la prima grande invenzione in questo senso è quella del telegrafo elettrico, che risale agli anni Trenta. Ad esso si aggiunge il telefono, anche se in questa prima fase la rete di comunicazione riguarda aree relativamente limitate e non supera grandi distanze; ma a questo obiettivo ci si avvicina grazie alla sperimentazione della radio. Ulteriori modificazioni si danno nel settore dei trasporti: la scoperta del motore a scoppio porta all'invenzione dell'automobile, alla quale si affiancano mezzi più popolari come l'autobus, camionette, etc. Dopo una serie di sperimentazioni di volo svoltesi nel corso dell'Ottocento, si giunge anche all'invenzione dell'aeroplano. Per questi nuovi mezzi di trasporto sono indispensabili la benzina e gli altri derivati del petrolio, che si imporranno come fonti di energia determinanti per lo sviluppo industriale. Ma tra i nuovi mezzi di trasporto non bisogna dimenticare i tram elettrici e la bicicletta. Tutte queste invenzioni hanno notevole incidenza sulla cultura, producono modificazioni fortissime nella mentalità e nell'immaginario stesso. Si sviluppa la fotografia, che fa le sue prime prove già negli anni Trenta. Verso la fine del secolo si scopre poi la possibilità di proiettare le immagini in movimento, e le sperimentazioni dei fratelli Lumière portano alla nascita del cinema, che già nel primo decennio del nuovo secolo produce spettacoli destinati a un pubblico di massa (specialmente in Francia e in America). Intanto l'invenzione del fonografo rende possibile la riproduzione della voce umana e di ogni suono. Questa vorticosa serie di invenzioni e sperimentazioni tecniche porta il mondo occidentale verso una nuova modernità, al centro della quale ci sono le città, soprattutto le grandi metropoli. Qui la vita sociale si configura come complessa organizzazione di servizi e di scambi. Il rapporto del cittadino con gli altri è filtrato da varie strutture che egli non può, né deve controllare personalmente: chi partecipa alla vita cittadina è membro di un "pubblico", di una massa di fruitori di servizi e di compratori di merci; e in questo orizzonte si crea il nuovo meccanismo della pubblicità. Le nuove forme di benessere e la nuova organizzazione della vita borghese conferiscono un ruolo del tutto diverso alla donna, nel suo rapporto con la cultura, con l'educazione, con le forme dell'intrattenimento sociale. Già alla fine del 19esimo secolo nei paesi più emancipati, hanno luogo le prime manifestazioni del femminismo che culminano in Inghilterra nella battaglia per l'estensione alle donne dei diritti elettorali, con la Women's Social and Political Union, fondata nel 1903. Roberta DiPrizio La nuova Italia: orizzonti sociali, politici, ideologici In Italia il raggiungimento dell'unità politica, dopo secoli di dominazione straniera e di particolarismi regionali, impone uno sforzo di unificazione reale, in un paese che presenta situazioni tra loro lontanissime e inconciliabili, dai modi di sviluppo industriale e borghese del Nord alla sopravvivenza di forme di tipo feudale nel Sud. Lo sviluppo del capitalismo italiano si trovò a dover fare i conti con la frantumazione del paese e si concentrò soprattutto in alcune zone del Settentrione, che godevano di condizioni favorevoli per tutta una serie di fattori economici, storici e sociali. L'inflessibile politica di unificazione amministrativa, giuridica e istituzionale del paese creò le condizioni per una omogeneizzazione del mercato e finì per favorire la capacità di penetrazione di gruppi economici fortemente appoggiati dallo Stato. La frattura tra il Nord e il Sud si rivelò un ostacolo insormontabile all'effettiva unificazione: la questione meridionale. Le varie tensioni non impedirono il formarsi, presso le classi dirigenti, di una coscienza borghese e liberale di tipo piuttosto omogeneo: sentivano di appartenere a una nazione che aveva espresso il meglio di sé nelle lotte del Risorgimento. La nostra borghesia cercò di adeguare i suoi comportamenti e i suoi modi di vita a quelli della grande borghesia europea. I modelli borghesi furono raccolti e fatti propri da una classe sempre più ampia di impiegati e funzionari, dalla nuova piccola borghesia, che si formò con l'espansione delle strutture dello Stato unitario e che divenne una sorta di ossatura del paese. Una nuova e moderna serie di tensioni sociali fu originata dalla pressione operaia, dalla diffusione del socialismo: in molti settori della borghesia si diffuse una vera e propria paura del socialismo, a cui contribuì lo specchio minaccioso della Comune di Parigi del 1871. La spinta del socialismo, se pur controllata dalla attenta politica di Giolitti, ottenne successi che lasciarono profonda impressione in tutto il paese e stimolarono nella borghesia e nella piccola borghesia una aggressiva volontà di rivalsa. Il modo in cui era stata realizzata l'unità e i nuovi problemi generati dal nuovo Stato unitario portarono a un rapidissimo esaurimento delle ideologie maturate negli anni della lotta risorgimentale. La gestione dei nuovi poteri toccò a un liberalismo conservatore, ma orientato in senso laico. Le tendenze dominanti della cultura europea Una sensibilità di tipo romantico era ancora assai diffusa nell'esistenza quotidiana, soprattutto nei comportamenti giovanili, negli atteggiamenti femminili, negli affetti e nelle passioni amorose. Nei termini più generali e sociali la cultura europea della seconda metà dell'Ottocento appare dominata dal positivismo, che condiziona l'esperienza tecnica e scientifica e sostiene il fortissimo sviluppo delle scienze naturali e delle scienze astratte. Siamo anche molto lontani dall'Illuminismo settecentesco: il progresso non si commisura direttamente ai principi della ragione, ma a quelli della fattualità; non si fanno battaglie per creare una nuova realtà basata su principi razionali, ma ci si impegna piuttosto a ricavare idee e giudizi dai dati offerti dalla realtà fisica. Fra tutte le teorie scientifiche che vengono elaborate all'interno delle diverse discipline, ha un rilievo centrale l'evoluzionismo. La concezione delle realtà storiche come complessi organici, la cui trasformazione ed evoluzione è regolata da leggi costanti, si riallaccia d'altra parte a certa storiografia romantica e alle nuove scienze umane sviluppatesi nella prima metà del 19esimo secolo, come la sociologia. Ma la storiografia positivistica cerca, molto più di quella romantica, la verifica dei fatti, accumulando e confrontando elementi concreti, notizie e documentazioni particolari. L'accurato riscontro dei dati agisce fortemente anche sulla filologia e sull'archeologia, e permette di interrogare realtà che erano sempre sfuggite alla ricerca sperimentale, come le società preistoriche e quelle che non hanno lasciato tracce di scrittura o di architettura. L'espansione coloniale incrementa i contatti con popoli non ancora toccati da forme avanzate di sviluppo: nasce da questo l'antropologia. Ma mentre il positivismo appare comunque guidato da una sostanziale fiducia nel progresso civile, altre filosofie e altri atteggiamenti culturali corrodono questa fiducia, prospettando una critica radicale ai valori su cui si basa la società borghese. Dalla filosofia tedesca si sviluppa il nuovo materialismo storico e dialettico di Karl Marx e di Friedrich Engels, che diventa la filosofia del socialismo scientifico e del comunismo: esso si pone come interpretazione globale dei processi storici e come analisi generale della società capitalistica. Un cardine dell'analisi marxista è la critica dell'economia politica: essa nega il carattere assoluto e inevitabile dei meccanismi della nuova scienza economica borghese e, individua la necessità e la possibilità di un suo rovesciamento che porti a una socializzazione dei mezzi di produzione e a un libero sviluppo delle forze produttive all'umanità. L'ultima grande opera di Marx, "Das Kapital" (1867), costituisce un grande monumento di scienza economica e uno dei maggiori contributi alla lotta per l'emancipazione delle classi lavoratrici. Nel campo della sociologia si avvertì come i fenomeni sociali non fossero ricostruibili secondo schemi rigidamente evoluzionistici, ma implicassero una serie di fattori ideologici e comportamentali (essenziale a tal proposito l'opera di Max Weber). Dal terreno della psichiatria clinica si sviluppò l'opera rivoluzionaria di Sigmund Freud, il fondatore della psicoanalisi, che rivolgeva lo sguardo all'ambito inesplorato dell'inconscio e mostrava come dietro tutte le espressioni e i comportamenti dell'uomo agissero desideri e pulsioni sessuali, radicati nell'infanzia e mai completamente risolti. Tutta l'epoca positivistica e borghese è percorsa da filosofie e da atteggiamenti di tipo irrazionalistico. Ma la teoria più radicale e più distruttiva è quella elaborata da Friedrich Nietsche, che cerca fondamenti ciechi e negativi, di ogni comportamento e di ogni valore annunciando la morte di Dio e lo svolgersi di un mondo umano al di là dell'umano, basato sull'assoluto presente, sulla negazione dei valori del passato e sul trionfo di una Wille zur Macht. Dal rifiuto dell'immagine meccanica e quantitativa della realtà fornita dal positivismo prende avvio la filosofia di Henri Bergson, che rivendica il valore dell'intuizione, il carattere qualitativo della realtà, individuabile attraverso concetti come "durata" e "memoria". Il senso della modernità è ispirato dai nuovi innumerevoli oggetti prodotti dalla tecnica, che modificano la stessa percezione della realtà, ma spesso trova conferma nelle tendenze irrazionalistiche espresse dalle filosofie della vita: la modernità del nuovo secolo sembra imporsi prepotentemente, spazzando via proprio quei metodi positivi che avevano creato le condizioni per la sua nascita; la tecnica possiede una forza espansiva non controllabile e la borghesia ne trae un'ideologia che aspira a una vitalità assoluta e totale, tesa solo ad espandere se stessa. Roberta DiPrizio Il positivismo e le nuove scienze La penetrazione ufficiale del positivismo nella cultura italiana viene solitamente fissato al 1866, data in cui apparve su "Il Politecnico" il saggio di Villari, dal titolo "La filosofia positiva e il metodo storico". L'ambito della cultura italiana maggiormente segnato dal positivismo fu quello della ricerca storica: la creazione dello Stato unitario e di strutture di documentazione centralizzate stimolò una serie di ricostruzioni concrete e la raccolta dei dati riguardanti vari momenti della storia nazionale. Questa scuola storica, che spesso si appoggiò su principi di tipo evoluzionistico, dominò anche nel campo delle ricerche sulla letteratura: ad essa si collegò in parte anche il lavoro di Carducci; suo autorevole strumento fu il "Giornale storico della letteratura italiana" (1883). Il positivismo si impose anche nelle scienze sociali, attraverso Lombroso che studiò le forme dell'anormalità e della devianza sociale, facendole risalire a caratteri somatici e psicologici fissati fin dalla nascita e ereditati dagli antenati. Di matrice positivistica fu anche la ricerca di Pareto, il cui lavoro culminò nel "Trattato di sociologia generale" (1916). Si propose un'analisi delle forme della vita sociale. L'equilibrio sociale si regge sulla disuguaglianza e sul rapporto tra gruppi che gestiscono il potere e gruppi ad essi sottoposti. Una risonanza internazionale ebbe anche, nel campo della scienza politica, il pensiero di Mosca, che mise in luce il carattere separato dei corpi di governo rispetto alla più generale struttura della società. Intellettuali e istituzioni culturali La creazione del nuovo Stato unitario comportò un totale riassestamento delle istituzioni culturali e una ridefinizione dei rapporti degli intellettuali con le istituzioni stesse. Nel periodo della lotta risorgimentale si era creata una frattura tra gran parte degli intellettuali e le istituzioni statali. Ora si tenta di integrare le forze culturali in strutture pubbliche che vogliono essere espressione di una coscienza nazionale. Molti intellettuali, già impegnati nelle lotte del Risorgimento, partecipano direttamente alla nuova vita politica dello Stato unitario: si crea una nuova figura di intellettuale-politico e nasce un nuovo tipo di cultura parlamentare, legata alla dialettica della vita politica. Ma la cultura e il lavoro intellettuale penetrano nella realtà sociale in modo più diffuso e articolato grazie alle specifiche istituzioni di insegnamento e di ricerca. La scuola e l'università ricevono attenzione di primo piano, in quanto strumenti essenziali per l'unificazione culturale del paese e luoghi di lavoro di molti intellettuali. Si forma una classe di professori di alto livello e prestigio. E' assai frequente il caso di intellettuali e scrittori di grande rilievo il cui lavoro viene riconosciuto pubblicamente con l'attribuzione di una cattedra universitaria o che svolgono gran parte della propria attività all'interno dell'università, come Carducci e Pascoli. Inoltre ricevettero particolare attenzione le antiche accademie o le deputazioni di storia patria (studio della storia locale). Per la raccolta della documentazione storica si organizzarono archivi di stato, che raccoglievano l'eredità di precedenti istituzioni regionali e una serie di provvedimenti di ristrutturazione riguardarono le grandi biblioteche. Creando istituzioni culturali unitarie, le nuove classi dirigenti ambivano a promuovere lo sviluppo di una cultura nazionale omogenea, capace l'unità di intenti che sembrava aver caratterizzato il Risorgimento. Comincia a delinearsi la figura dello scrittore che rifiuta completamente i modi di vita borghese, vive miseramente alla giornata, dedicandosi interamente all'esperienza artistica (vita bohème). All'opposto c'è la figura dello scrittore che si fa interprete dei valori "medi" diffusi tra il pubblico borghese, mentre più complesse e contraddittorie sono le figure di artisti che mirano a conquistare il pubblico borghese sorprendendolo e scandalizzandolo. Editoria, stampa e mercato librario: verso una cultura di massa L'unificazione del paese e l'espansione del pubblico creano le premesse per uno sviluppo dell'editoria in senso industriale, che porta gli scrittori a confrontarsi sempre più con il mercato. Un ruolo essenziale di mediazione culturale acquista la stampa quotidiana, che vede nascere i primi giornali moderni, in grado di fornire un'informazione ampia e articolata. All'interno della stampa quotidiana, raggiunge il suo massimo sviluppo la letteratura d'appendice. Ma il mercato editoriale non è omogeneo, né può raggiungere dimensioni eccezionali: deve scontrarsi con una depressa situazione culturale, con l'analfabetismo dominante, con le infinite stratificazioni del pubblico, con lo scarso interesse per la lettura che mostrano anche molti alfabetizzati. Il pubblico medio è costituito dalla borghesia più colta e dalla piccola borghesia intellettuale; ma la letteratura più popolare raggiunge anche vasti strati di lettori proletari. Un'importante funzione svolge il pubblico femminile, perchè a esso si riconosce lo spazio dell'interiorità e del sentimento. Un ruolo considerevole hanno ancora le riviste legate spesso a iniziative e a tendenze di gruppo, dominate da propositi polemici: esse costituiscono uno strumento di cultura militante, la cui libera espansione è facilitata dalla nuova situazione politica. Ma cresce la distanza tra le riviste specializzate, e le riviste divulgative costruite per dare un'immagine del mondo presente. La moderna stampa garantiva una diffusione ben più vasta: gli intellettuali e gli scrittori vi collaborarono in modo sempre più massiccio, e nacquero nuove figure di scrittori-giornalisti. Campo privilegiato per l'attività di questi scrittori-giornalisti fu la terza pagina dei grandi quotidiani, destinata proprio alla cultura e alla letteratura; e notevole rilievo ebbero anche i giornali domenicali e varie riviste letterarie volte a propugnare immagini moderne e pubbliche della letteratura. Angelo Sommaruga ebbe un ruolo fondamentale nel mondo giornalistico e letterario romano tra il 1881 e il 1885, fondando la Roberta DiPrizio "Cronaca bizantina". In questo variegato mondo editoriale e giornalistico, venivano creandosi le prime forme di una cultura di massa, le prime tecniche e le prime strutture che sono giunte fino al giornalismo di oggi. La stampa provava a confrontarsi con un mercato assai ampio e per far ciò doveva tener conto di gusti e di curiosità diverse, conferire all'informazione un carattere in qualche modo spettacolare e tener conto dei meccanismi della pubblicità. La lingua italiana e la scuola L'unificazione del paese pose per la prima volta in evidenza il problema della comunicazione linguistica. Gli ostacoli erano però enormi e venivano dalla secolare differenziazione regionale, dalla vitalità dei dialetti e dal fatto che l'uso dell'italiano come lingua comune era limitato quasi soltanto alla scrittura. Fu subito evidente alla nuove classi dirigenti che l'alfabetizzazione e il conseguimento di una omogeneità linguistica erano condizioni essenziali per la costruzione di una comunità civile, al passo con i più moderni paesi d'Europa: e la struttura di base per il raggiungimento di queste condizioni fu individuata nella scuola. Anche altri fattori, come l'emigrazione all'estero, le migrazioni interne e quindi i rapporti sempre più fitti tra le diverse regioni, il primo sviluppo industriale e il parziale miglioramento delle condizioni di vita fecero sì che il numero degli analfabeti scendesse notevolmente. Riemergeva in termini nuovi la secolare questione della lingua: si poneva cioè il problema di quale lingua insegnare e promuovere a uso nazionale. Grande fortuna ebbe la teoria manzoniana: essa proponeva il fiorentino dell'uso contemporaneo come norma da seguire sia nello scritto sia nel parlato. Nella pratica della scuola italiana questo fiorentinismo non ebbe penetrazione. Il manzonismo incontrò l'opposizione di molti scrittori, dagli scapigliati a Carducci. Nel primo cinquantennio dell'unità, il problema della comunicazione linguistica nazionale si rivelò sempre più come un problema sociale e culturale: le immense difficoltà incontrare dall'educazione linguistica non derivavano tanto dalla scelta dei modelli da usare, quanto dalle condizioni di arretratezza e di miseria. I parziali progressi furono resi possibili solo dal miglioramento delle condizioni di vita. Una funzione essenziale ebbero i giornali e le prime forme di comunicazione di massa. Si ebbero due fenomeni opposti: da una parte le modificazioni create, soprattutto nel lessico, dal nuovo mondo della tecnica e degli oggetti industriali; e dall'altra la diffusione di un linguaggio sontuoso, aulico e retorico di massa. Nuovi caratteri e distribuzione dei centri culturali Roma, divenuta capitale dello Stato unitario nel 1870, dopo che per secoli era stata capitale della Chiesa e dello Stato Pontificio, tentò un'operazione di trapianto dall'esterno: sul vecchio tessuto cittadino si sovrapposero una serie di componenti diverse della cultura di tutta Italia, chiamate a raccolta dalla nuova funzione di città-capitale. Come centro culturale della nuova Italia, essa acquistò una fisionomia confusa: in essa si intrecciavano le tendenze della nuova aristocrazia legata alla monarchia sabauda e alla presenza della corte, e la borghesia che si faceva strada soprattutto con la frettolosa speculazione edilizia. In quanto capitale e luogo di rappresentanza, la città fu vista, specialmente durante gli anni Ottanta e Novanta, anche come lo spazio esemplare del lusso e dell'eleganza: essa divenne così la patria dell'estetismo e per breve tempo fu il centro della vita culturale del paese. Una produzione editoriale su vasta scala si sviluppò soprattutto a Milano, città che diede vita a una cultura attenta alla diverse forme della realtà contemporanea, volta alla ricerca di un pubblico molto ampio. Qui, ci furono tendenze contrastanti: da atteggiamenti di ribellione e di insofferenza verso la tradizione ad atteggiamenti duramente conservatori. Trovarono i loro punto di riferimento la Scapigliatura e la nuova narrativa naturalista. Firenze fu al centro della cultura nazionale negli anni Sessanta. Per la cultura toscana ebbe un rilievo notevolissimo l'attività di gruppo di pittori noti come macchiaioli. Benchè fosse uno dei più importanti centri editoriali italiani, Firenze si andò però chiudendo sempre più e ritrovò un ruolo determinante solo all'inizio del nuovo secolo. Come frustrata per aver perduto il suo ruolo di capitale appare Torino, che sembra ricadere, in negativo, la piemontizzazione dell'intero paese, la riuscita espansione del Piemonte verso il resto dell'Italia. Da una parte la cultura della regione guarda malinconicamente indietro verso il proprio passato autosufficiente; ma dall'altro assiste a un notevole sviluppo industriale e si accanisce a confrontarsi con la nuova realtà nazionale: questa contraddizione tra chiusura provinciale e percezione della modernità troverà un'intensa espressione nell'opera di Gozzano. Altra ex capitale che ha perduto il proprio ruolo, è Napoli, che vede imporsi una nuova grande figura di intellettuale: Benedetto Croce. Essa vede svilupparsi anche una cultura attenta alla realtà locale, al mondo popolare e al dialetto. La condizione unitaria crea un nuovo tipo di rapporto tra i centri più importanti e quelli relativamente marginali: l'emergere delle varie realtà sociali e culturali induce gli intellettuali non più soltanto ad abbandonare gli ambienti provinciali per convergere verso i centri di maggior rilievo, ma anche a riscoprire le realtà locali, a cercare di comprenderle e a dar loro voce. Il mondo della provincia arriva così ad attrarre molti intellettuali. Vari orientamenti, dal verismo al crepuscolarismo, esprimono una nuova serie di rapporti e di opposizioni tra centri e province, l'emergere di nuove realtà locali. Roberta DiPrizio "Scapigliatura e dintorni" L'arte contro la società L'espansione della società borghese e lo sviluppo di nuovi orizzonti culturali e scientifici trovano una singolare resistenza e contraddizione nell'atteggiamento degli artisti. Sopratutto nei paesi dove è più forte la spinta del progresso tecnico, dell'industria, della nuova cultura scientifica, l'artista sceglie sempre più frequentemente un'opposizione radicale. Il nuovo paesaggio industriale, le modificazioni materiali che l'industria crea nell'aspetto del mondo, le metropoli dove tutto è anonimo, creano negli artisti un desiderio di fuga e di evasione. Ogni esperienza artistica tende ad essere riassorbita entro i meccanismi del mercato e del consumo: l'artista deve constatare che la sua opera è ormai ridotta a merce. Molti artisti scelgono comunque di confrontarsi con il mercato, molti tentano invece di rivendicare la superiore purezza dell'esperienza artistica e di sottrarla alle leggi del mercato, comunicando soltanto con gruppi intenditori, di raffinati iniziati (arte per l'arte). L'artista può così sentirsi e vivere come una sorta di sacerdote dell'assoluto, di valori supremi ed essenziali, negati dalla volgarità della morale borghese: può assumere atteggiamenti irregolari e provocatori che colpiscono e scandalizzano i buoni borghesi; può vivere questa esistenza senza nessun ordine che spesso porta alla distruzione fisica e psichica. In questi ultimi casi l'artista si presenta come maudit (maledetto), satanico e corrotto, polemico negatore di ogni valore corrente. L'opposizione più radicale si dà soltanto in alcune grandi esperienze straniere (soprattutto nella poesia francese da Baudelaire a Rimbaud). Ma a volte lo spirito antiborghese assume connotati di tipo reazionario, spinge al recupero di antichi valori tradizionali, ostili al liberalismo, alla democrazia e alle moltitudini. Il decadentismo europeo Le nuove tendenze dell'arte europea si affermano a partire dagli anni Cinquanta, specialmente dopo il riflusso dell'ondata rivoluzionaria del 1848 e con l'assestarsi del potere della borghesia. Una data fondamentale è il 1857, quando in Francia appaiono due opere eccezionali, che suscitano scandalo: Les fleurs du mal (Baudelaire) e Madame Bovary (Flaubert). Un termine che serve a definire i caratteri particolari di gran parte dell'arte della seconda metà dell'Ottocento e ancora del primo Novecento è decadentismo: esso esclude l'idea di una troppo stretta continuità con il Romanticismo e sottolinea la novità di contenuti e forme che rompono esplicitamente con tutta la tradizione dell'arte e della cultura occidentale e sembrano volerla portare al suo punto-limite, registrando la decadenza e la consunzione di un'intera civiltà. Decadentismo: Il termine nacque in Francia negli anni '80 in seguito all'uso della critica ufficiale di designare come "decadenti" gli artisti anticonformisti la cui vita e la cui opera costituivano uno scandalo per il pubblico borghese. Variamente diffusa era l'attenzione per le epoche di decadenza, la curiosità per l'eleganza e la raffinatezza di antiche società sull'orlo della fine. La ricerca di una nuova poesia di tipo simbolista portò nel 1886 alla fondazione della rivista "Le Décadent" che assumeva in positivo l'accusa di decadenza. Negli anni Novanta si diffuse in tutta Europa anche grazie al romanzo "Decadenza" del 1892 dell'italiano Luigi Gualdo. Il termine decadentismo si è allargato a definire i più vari aspetti della letteratura e dell'arte del secondo Ottocento, mantenendo a lungo un'accezione negativa. La poesia di Baudelaire costituisce il maggiore punto di riferimento per tutte le esperienze di tipo decadente. In Francia si svolgono tutta una nuova serie di tendenze: da quelle dei parnassiani a quelle dei simbolisti. La più scatenata carica eversiva e anarchica, si esprime nell'opera di Rimbaud; un approfondimento delle più segrete possibilità del linguaggio poetico è presente nella poesia di Mallarmé; una ricerca di nuova musicalità in quella di Verlaine. La nuova poesia francese svela l'ambiguo fascino del brutto, del deforme, dell'artificiale, dissolve ogni legame tra la bellezza e la morale, e si immerge nelle più varie forme della corruzione. L'arte del passato viene recuperata, amata e contemplata soprattutto come serbatoio di oggetti inutili. Simbolismo: Più genericamente si intende per simbolismo ogni organizzazione del simbolo e ogni uso della comunicazione simbolica. La lunga tradizione della poesia europea che prende avvio in Francia intorno alla metà dell'Ottocento con l'opera di Baudelaire e ha molteplici sviluppi nella poesia europea, concentrandosi sull'uso del simbolo e dell'analogia. Interroga a fondo il segreto e il misterioso della realtà, cerca le corrispondenze e i legami nascosti tra le cose. L'uso del termine simbolismo va limitato peraltro a quelle tendenze che esaltano la ricerca del mistero e aspirano a raggiungere valori segreti e assoluti. La natura appare percorsa da corrispondenze segrete, di cui la poesia deve ritrovare le tracce e gli echi, avvalendosi in primo luogo dello strumento dell'analogia. Sempre più forte è la tendenza verso l'espressione difficile e oscura. Il poeta chiudersi nell'ambito della lirica e si avvia a una disintegrazione della base stessa della metrica tradizionale, il verso, con la nuova esperienza del verso libero. Una delle opere che più contribuiscono a diffondere in tutta Europa un modello di comportamento decadente è il romanzo di Huysmanns "A rebours" (Controcorrente 1884), che ha come protagonista un raffinato intellettuale, Jean Des Esseintes, desideroso di sfuggire alla noia della vita contemporanea con tutte le possibili esperienze dei sensi. Questo e simili atteggiamenti possono essere fatti rientrare nella categoria dell'estetismo. Esso è una componente fondamentale di molte esperienze inglesi, da quella dei preraffaelliti a quella di autori come Ruskin e Wilde. Per quanto riguarda in campo musicale invece, Wagner crea una nuova forma di opera in musica. Roberta DiPrizio Preraffaelliti: Con questo termine di designano i partecipanti al movimento artistico Pre Raphaelite Brotherhood, fondato in Inghilterra nel 1848, e che ebbe come principale animatore il pittore e poeta Dante Gabriel Rossetti. Questo movimento ebbe le sue più notevoli espressioni nel campo della pittura, ma poi, a partire dagli anni Sessanta, diede risultati significativi anche nel campo della letteratura che mirava a tornare a un'arte naturale. Il gusto per la purezza si collegò a un rifiuto del mondo industriale, del materialismo e dell'egoismo sociale contemporaneo, coltivando un vero e proprio culto per Dante e per lo Stilnovo. Il primo tentativo italiano di una nuova arte: la Scapigliatura Le tendenze critiche e negative della nuova arte europea penetrano in Italia con notevole ritardo, a causa della particolare situazione dei nostri intellettuali, impegnati nella lotta per l'unità. Aspetti più esplicitamente decadenti si manifestano da noi soprattutto a partire dagli anni Ottanta, specialmente nell'ambito dell'estetismo: un tentativo di uscire dai limiti angusti e provinciali della nostra letteratura, si deve a un gruppo di scrittori operanti soprattutto a Milano, la città in cui più forte era lo spirito borghese e in cui più rapido avvio aveva avuto il nuovo sviluppo industriale e capitalistico. Questi scrittori erano animati da uno spirito di ribellione che venne definito con il termine Scapigliatura. Scapigliatura: Questa parola s'impose nel corso degli anni Cinquanta dell'Ottocento come libera traduzione del termine francese bohème, riferito alla vita disordinata e anticonformista negli artisti parigini descritta nel romanzo di Murger "Scènes de la vie de bohème" (1847-49). Nel romanzo di Arrighi "La Scapigliatura e il 6 febbraio (Un dramma di famiglia). Romanzo contemporaneo" del 1862 veniva esplicitamente indicato con il termine Scapigliatura un certo ambiente di giovani artisti e letterati milanesi, irrequieti, turbolenti. Il romanzo rappresentava la loro vita sullo sfondo di una rivolta operaia avvenuta nel 1853. Uno dei primi obiettivi della lotta degli scapigliati fu il moderatismo del Romanticismo italiano, la sua cautela e il suo rifiuto degli eccessi manifestatisi nelle altre grandi letterature europee: essi cercarono di recuperare alla nostra cultura gli aspetti più negativi e nello stesso tempo si scagliarono contro il provincialismo della nostra cultura risorgimentale, contro il romanticismo del Prati e dell'Aleardi. La realtà fisica veniva confrontata con quella psichica, con gli effetti della sensibilità e della malattia. Al fondo di tutto ciò c'era la convinzione che l'arte e l'artista fossero estranei ai canoni borghesi, emarginati da una società dedita a uno sviluppo tutto materiale che vivevano spesso alla giornata, minati dall'alcool e dalle malattie. L'artista scapigliato mostrava cinicamente la miseria della poesia e da questo ne derivava un atteggiamento contraddittorio: a una pratica di vita mondana, laica e libertina, si mescolavano spesso aneliti religiosi, nostalgie per perdute e rassicuranti certezze. La Sc...

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Lo sviluppo del capitalismo italiano si trovò a dover fare i conti con la frantumazione del paese e si concentrò soprattutto in alcune zone del Settentrione, che godevano di condizioni favorevoli per tutta una serie di fattori economici, storici e sociali.

L'inflessibile politica di unificazione amministrativa, giuridica e istituzionale del paese creò le condizioni per una omogeneizzazione del mercato e finì per favorire la capacità di penetrazione di gruppi economici fortemente appoggiati dallo Stato.

La frattura tra il Nord e il Sud si rivelò un ostacolo insormontabile all'effettiva unificazione: la questione meridionale .

Le varie tensioni non impedirono il formarsi, presso le classi dirigenti, di una coscienza borghese e liberale di tipo piuttosto omogeneo: sentivano di appartenere a una nazione che aveva espresso il meglio di sé nelle lotte del Risorgimento.

La nostra borghesia cercò di adeguare i suoi comportamenti e i suoi modi di vita a quelli della grande borghesia europea.

I modelli borghesi furono raccolti e fatti propri da una classe sempre più ampia di impiegati e funzionari, dalla nuova piccola borghesia, che si formò con l'espansione delle strutture dello Stato unitario e che divenne una sorta di ossatura del paese.

Una nuova e moderna serie di tensioni sociali fu originata dalla pressione operaia, dalla diffusione del socialismo: in molti settori della borghesia si diffuse una vera e propria paura del socialismo, a cui contribuì lo specchio minaccioso della Comune di Parigi del 1871.

La spinta del socialismo, se pur controllata dalla attenta politica di Giolitti, ottenne successi che lasciarono profonda impressione in tutto il paese e stimolarono nella borghesia e nella piccola borghesia una aggressiva volontà di rivalsa.

Il modo in cui era stata realizzata l'unità e i nuovi problemi generati dal nuovo Stato unitario portarono a un rapidissimo esaurimento delle ideologie maturate negli anni della lotta risorgimentale.

La gestione dei nuovi poteri toccò a un liberalismo conservatore, ma orientato in senso laico. Le tendenze dominanti della cultura europea Una sensibilità di tipo romantico era ancora assai diffusa nell'esistenza quotidiana, soprattutto nei comportamenti giovanili, negli atteggiamenti femminili, negli affetti e nelle passioni amorose.

Nei termini più generali e sociali la cultura europea della seconda metà dell'Ottocento appare dominata dal positivismo , che condiziona l'esperienza tecnica e scientifica e sostiene il fortissimo sviluppo delle scienze naturali e delle scienze astratte.

Siamo anche molto lontani dall'Illuminismo settecentesco: il progresso non si commisura direttamente ai principi della ragione, ma a quelli della fattualità; non si fanno battaglie per creare una nuova realtà basata su principi razionali, ma ci si impegna piuttosto a ricavare idee e giudizi dai dati offerti dalla realtà fisica.

Fra tutte le teorie scientifiche che vengono elaborate all'interno delle diverse discipline, ha un rilievo centrale l' evoluzionismo .

La concezione delle realtà storiche come complessi organici, la cui trasformazione ed evoluzione è regolata da leggi costanti, si riallaccia d'altra parte a certa storiografia romantica e alle nuove scienze umane sviluppatesi nella prima metà del 19esimo secolo, come la sociologia .

Ma la storiografia positivistica cerca, molto più di quella romantica, la verifica dei fatti, accumulando e confrontando elementi concreti, notizie e documentazioni particolari.

L'accurato riscontro dei dati agisce fortemente anche sulla filologia e sull'archeologia, e permette di interrogare realtà che erano sempre sfuggite alla ricerca sperimentale, come le società preistoriche e quelle che non hanno lasciato tracce di scrittura o di architettura.

L'espansione coloniale incrementa i contatti con popoli non ancora toccati da forme avanzate di sviluppo: nasce da questo l' antropologia .

Ma mentre il positivismo appare comunque guidato da una sostanziale fiducia nel progresso civile, altre filosofie e altri atteggiamenti culturali corrodono questa fiducia, prospettando una critica radicale ai valori su cui si basa la società borghese.

Dalla filosofia tedesca si sviluppa il nuovo materialismo storico e dialettico di Karl Marx e di Friedrich Engels, che diventa la filosofia del socialismo scientifico e del comunismo: esso si pone come interpretazione globale dei processi storici e come analisi generale della società capitalistica.

Un cardine dell'analisi marxista è la critica dell'economia politica: essa nega il carattere assoluto e inevitabile dei meccanismi della nuova scienza economica borghese e, individua la necessità e la possibilità di un suo rovesciamento che porti a una socializzazione dei mezzi di produzione e a un libero sviluppo delle forze produttive all'umanità.

L'ultima grande opera di Marx, "Das Kapital" (1867), costituisce un grande monumento di scienza economica e uno dei maggiori contributi alla lotta per l'emancipazione delle classi lavoratrici.

Nel campo della sociologia si avvertì come i fenomeni sociali non fossero ricostruibili secondo schemi rigidamente evoluzionistici, ma implicassero una serie di fattori ideologici e comportamentali (essenziale a tal proposito l'opera di Max Weber).

Dal terreno della psichiatria clinica si sviluppò l'opera rivoluzionaria di Sigmund Freud, il fondatore della psicoanalisi, che rivolgeva lo sguardo all'ambito inesplorato dell'inconscio e mostrava come dietro tutte le espressioni e i comportamenti dell'uomo agissero desideri e pulsioni sessuali, radicati nell'infanzia e mai completamente risolti.

Tutta l'epoca positivistica e borghese è percorsa da filosofie e da atteggiamenti di tipo irrazionalistico.

Ma la teoria più radicale e più distruttiva è quella elaborata da Friedrich Nietsche, che cerca fondamenti ciechi e negativi, di ogni comportamento e di ogni valore annunciando la morte di Dio e lo svolgersi di un mondo umano al di là dell'umano, basato sull'assoluto presente, sulla negazione dei valori del passato e sul trionfo di una Wille zur Macht .

Dal rifiuto dell'immagine meccanica e quantitativa della realtà fornita dal positivismo prende avvio la filosofia di Henri Bergson, che rivendica il valore dell'intuizione, il carattere qualitativo della realtà, individuabile attraverso concetti come "durata" e "memoria".

Il senso della modernità è ispirato dai nuovi innumerevoli oggetti prodotti dalla tecnica, che modificano la stessa percezione della realtà, ma spesso trova conferma nelle tendenze irrazionalistiche espresse dalle filosofie della vita: la modernità del nuovo secolo sembra imporsi prepotentemente, spazzando via proprio quei metodi positivi che avevano creato le condizioni per la sua nascita; la tecnica possiede una forza espansiva non controllabile e la borghesia ne trae un'ideologia che aspira a una vitalità assoluta e totale, tesa solo ad espandere se stessa.

Roberta DiPrizio. »

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